Fare spazio

AMIA Arte Contemporanea, Storica Galleria D’Arte Puccini, a cura di Francesco Maria Orsolini

“Fare spazio” AMIA Arte Contemporanea, Storica Galleria D’Arte Puccini
a cura di Francesco Maria Orsolini

Guido Armeni
Egidio Del Bianco
Pino Mascia
Giulio Perfetti
Valerio Valeri

Dal 6 al 29 maggio
Galleria D’Arte Puccini, via Matteotti 31/A, Ancona

Fare spazio o della scultura
Francesco Maria Orsolini

Mai dimenticando di essere nani sulle spalle di giganti e ormai al riparo da sospetti di confluenza nell’ondata citazionista che ha sommerso Martin Heidegger negli ultimi decenni del secolo scorso, pare il caso di richiamare alcune sue decisive argomen-tazioni per presentare questa mostra di scultura. Il riferimento è al saggio breve L’arte e lo spazio, trascrizione di una conferenza tenuta nel 1964 in una galleria svizzera di San Gallo, con considerazioni sull’arte plastica tuttora straordinariamente illuminanti di cui far tesoro. La scultura, come espressione specifica dell’arte figurativa, nel pensiero di Heidegger oscilla come un pendolo tra il fare spazio dell’opera intorno a sé e il dare corpo allo spazio, il suo incorporare lo spazio. Tra queste due polarità è situato l’abitare dell’uomo, il suo stare al mondo, appunto accolto nell’aperto che si è creato nel fare spazio proprio dell’arte e della cultura. Nei luoghi, spaziali e culturali, in cui si manifesta questo aperto, termine con cui Heidegger allude all’ex-sistere (venir fuori, mostrarsi, rivelarsi), è immerso l’esistere umano, che in essi, trova la sua casa e la sua patria. Dice Heidegger: “La scultura sarebbe il farsi-corpo dei luoghi che, aprendo una contrada e custodendola, tengono raccolto intorno a sé un che di libero che accorda una dimora a tutte le cose e agli uomini un abitare in mezzo alle cose”. La verità di tali argomentazioni emerge clamorosamente se consideriamo il tema della damnatio memoriae e di come nel passaggio da una fase storica all’altra, l’aperto-contrada espresso nello spazio pubblico soprattutto dalle sculture, venga negato e richiuso proprio a partire dall’abbattimento dei monumenti, dal far venire giù letteralmente le statue e i simboli che esse rappresentano: dai Buddha della valle afgana di Bamiyan, alle statue colossali di Mussolini, Stalin, Saddam Hussein, fino al recente caso statunitense di Cristoforo Colombo. Tornando alle cose in mezzo alle quali abitiamo, che chiamiamo sculture, con esse lo spazio prende corpo, un corpo che gli dà visibilità. Per tale caratteristica la scultura ha una diretta e intimissima familiarità con l’architettura che, in tal senso, potrebbe essere definita una scultura abitabile. Senza l’arte lo spa-zio non avrebbe concretezza sensibile e di esso avremmo soltanto i dati della matematica e della fisica. Rendere concreto e visibile lo spazio non è una prerogativa esclusiva delle opere che definiamo “sculture”, ma di una altrettanto antica famiglia di artefatti, che sono gli “oggetti-strumenti” di cui l’uomo si è circondato nella sua millenaria esistenza. Pertanto, l’apertura creata dall’arte si è localizzata in quello che ora chiameremmo “ambiente”, uno spazio che si estende dalla natura all’interno del costruito, città, rifugio o casa che sia, un contesto fatto di gesti, operazioni, organizzazioni sociali, abitudini e consuetudini, anche di carattere simbolico-rituale, oltreché utilitaristico. Infatti, l’incorporare della scultura ha attraversato tanto lo spazio della vita pubblica, che quello della vita privata, creando intorno all’essere umano un corpo esteso di significati, simboli, depositi memoriali. Acquisita dall’alto la visuale del perimetro della scultura, ripercorriamolo per individuare i punti in cui è collocato ognuno degli scultori della mostra. Nel fare spazio, dice Heidegger “parla e si cela al tempo stesso un accadere”, perché fare spazio è disporre, ordinare, installare, costruire. L’idea del costruire spazio, la sintesi spazio costruttiva, è la matrice espressiva

Ponendosi proprio a metà tra il faber e il designer, Giulio Perfetti occupa nel perimetro della scultura una posizione etero-dossa, declinabile nella definizione del contemporaneo come “tradizione del nuovo” di Rosenberg. Il suo spazio si incorpora in oggetti plastici di essenzialità atomica. E’ tanto forte la loro autoconsistenza, da diventare perturbanti ed enigmatici, come un improvviso apparire che si fa corpo e si dispone al sensibile. Questo apparire chiama in causa l’aperto dello spazio come scenario, sfondo di contrasto e di sostegno simbiotico. Il paragone con gli oggetti scenici decontestualizzati dalla finzione teatrale è un senso rivelatore dell’aperto heideggeriano di queste opere, che nella loro essenzialità richiamano i prismatici periaktoi dell’antico teatro greco.
Per alcune di esse lo scenario è la natura stessa, l’ambiente della vita nel quale l’artefatto si mette in gioco mostrandosi nella relazione oppositiva: definito e geometrico nell’organicità mutevole del bios (le Monadi nelle grotte di Sant’Eustachio a San Severino Marche), luminoso nella selva oscura l’obelisco di Land art Furlo, che si accende tra venature alabastrine nel bosco o nella grotta, oppure AM-gse 1, il mattone cosmico inverso, dotato, invece che privato di luce, con citazione da Kubrick). In altre opere lo scenario è l’aperto di uno spazio architettonico, quindi uno spazio che si era già fatto aperto, in relazione ad un’intenzionalità-progetto e ad una tradizione culturale precedente. In esso Giulio Perfetti riapre l’aperto inserendovi un altro spazio che si incorpora nel primo, producendo un effetto anamorfico che ne mette in gioco l’unità e la coesione. Nell’installazione della Grande goccia alla Biblioteca Mozzi Borgetti di Macerata, l’ingigantirsi colossale di una goccia in rilievo e dipinta con libera espressività, irrompe nella corsa prospettica degli scaffali, rendendo straniante, non già l’improvviso apparire dell’oggetto, quanto piuttosto lo spazio in cui si colloca, che si estende ordinato e ripetitivo. L’inserimento dello specchio circolare al di sotto dell’oggetto plastico aggiunge la veduta di un altro occhio strappato dallo sguardo dell’osservatore, che ai suoi movimenti gli restituisce porzioni diverse del soffitto-sfondo e del volume con le forme dipinte che lo rivestono, citazione della qualità cromatica alle origini della scultura. Il disco riflettente è anche lo specchio d’acqua nel quale avverrà il divenire metamorfico della goccia che cade dall’alto.

Monade, 2010, tecnica mista, ferro